Libri per i Bambini, ovvero… Robusti Scarponi da Montagna

Omosessualità e omogenitorialità nei libri per bambini

scarponiLibri per i Bambini, ovvero… Robusti Scarponi da Montagna

Parlare di omosessualità e omogenitorialità a partire dai bambini.
E farlo tra adulti, prima di tutto. Perché, mi sono chiesta.
Mi sono chiesta se abbia un senso, e quale senso.

Ho provato allora a giocare il gioco infantile dei perché – che è gioco assai serio, è la sintesi di quella che è stata definita l’infinita meraviglia di fronte alle cose, determinante nello sviluppare il desiderio di conoscenza. E’ insomma l’esordio del pensiero filosofico, il più spontaneo e naturale, per quanto sembri sproporzionato affermarlo, e questo esordio è nei bambini, che con apparente ingenuità ma in realtà con grande spregiudicatezza, chiedono “perché di notte tutto è buio” – chiedono “un albero pensa?” – chiedono “perché hai due mamme?” – chiedono “perché siamo qui?”.

Ecco dunque: “perché siamo qui?” mi sono chiesta, e ho provato a muovermi come mi è capitato di veder muovere i bambini. Perché parlare di bambini attraverso dei libri – e perché parlare di omosessualità e omogenitorialità attraverso dei libri – e perché quei libri iniziare a sfogliarli e leggerli tra adulti.

Perché è una questione che TUTTE e TUTTI ci riguarda, tutte e tutti per davvero, che quei bambini ci siano figli – nipoti – siano figli di amici – figli di estranei – sconosciuti – mai incontrati. Ci riguarda tutte e tutti anche se genitori non siamo, e i genitori per questo non ce ne vogliano: si può parlare di bambini senza averne partoriti né generati – si può e credo si debba.

Perché i bambini sono ovunque, e ci osservano, e ci imitano – o fanno di tutto, talvolta, per non assomigliarci, il ché in fondo è quasi la stessa cosa – e succede anche quando non sembra, anche quando sembra che facciano tutt’altro; anche quando siamo noi adulti a ignorarli e a fare tutt’altro per davvero.

Perché se davvero esiste una possibilità che qualcosa cambi e lo faccia per il meglio, è a partire dai bambini che accadrà – quei bambini che siamo stati noi, molti anni fa (ma in fondo non moltissimi anni fa) e che saranno adulti tra non troppi anni, quando noi lo saremo ancora di più – se ancora saremo.

Perché quei bambini che siamo stati noi diversi anni fa sono stati privati molto spesso – credo sia stato così per la maggior parte di noi, nonostante fossimo circondati da adulti in molti casi né insensibili né privi di sincera buona volontà – della spiegazione assai semplice che la vita può assumere volti e sostanze differenti da ciò che è diffusamente e in modo rassicurante codificato.

Perché i bambini che sono bambini oggi meritano – senza forse – questa esatta e ulteriore opportunità: che qualcuno racconti loro che le possibilità, dentro il contenitore della vita, sono di più e sono svariate, e che nessuna è vergognosa, quando si parla di sentimenti – dei propri sentimenti e allo stesso modo dei sentimenti di chi li circonda – ché nulla esiste di vergognoso nei sentimenti di una madre, di un padre, di una sorella o di un fratello, di una compagna di banco, della madre di una compagna di banco.

Perché quel qualcuno che racconta ai bambini la varietà sconfinata del mondo può essere anche un libro – certo – meglio magari se non solo un libro – o non un libro da soli.

Perché è dal basso che si cominciano a scalare le montagne, mai nessuno ho visto procedere al contrario. E se i pregiudizi tanto spesso, per metafora, sono definiti montagne, e se le metafore hanno un senso che non sia solo quello di una facile suggestione visiva, allora coi pregiudizi si comincia come si comincia con le montagne: si mettono ai piedi scarponi robusti – anche i libri possono esserlo, proviamo a calzarli e poi ne riparliamo – e si inizia la salita dal basso. E se dico dal basso parlando di bambini, bisogna intendersi sulle parole: è un basso di statura, non di altro – né di sensibilità né di capacità di comprensione delle cose del mondo – è un partire dal basso come si potrebbe dire: a partire dall’origine, lì dove le cose iniziano a prendere forma.

Perché chiunque di noi, per qualsivoglia ragione, abbia a che fare coi bambini, sa che il pregiudizio si insinua presto e con insospettabile tenacia – salvo qualcuno non creda che il pregiudizio sia originario, come il peccato di cristiana cultura – allora è tra adulti che bisogna parlarne: perché sono gli adulti ad attuare l’inquinamento, noi siamo gli autori del contagio, untori consapevoli e tanto spesso distratti – non c’è una cosa più consolante dell’altra – untori con tutti i “non si fa”“non si dice” – con tutti i rapidi “tesoro mio, solleva il finestrino al semaforo”

A partire dai bambini, dunque. Che non ho personalmente partorito ma che incontro nelle scuole. Nei musei (pochi). Per strada (di più). Davanti alla televisione nei soggiorni domestici (tanti).

A partire dai bambini desiderati e concepiti all’interno di famiglie omogenitoriali, o che in famiglie omogenitoriali si sono trovati un giorno a vivere e a crescere, che esistono e che crescono di numero, e se anche così numerosi non fossero, non sarebbe ragione in alcun modo sufficiente per ignorarne l’esistenza.

A partire dai bambini concepiti all’interno di famiglie eterosessuali che un giorno – molto presto, in alcuni casi – incontreranno la propria sessualità per scoprirla non allineata al modello genitoriale, e con quella specificità dovranno entrare in confidenza e iniziare a confrontarsi. Meglio magari se non in colpevole abbandono.

A partire dai bambini tutti, anche quelli che non conosceranno mai l’omosessualità o la transessualità di un genitore né la propria, e non per questo saranno meno coinvolti nel caleidoscopio generato dall’estrema varietà del mondo: perché accanto a loro vivranno realtà differenti, e fornir loro gli strumenti per confrontarcisi dovrebbe essere un impegno assunto come dovere. A impedire che i bambini, davanti a ciò che non somiglia al poco che a loro è noto, dagli adulti filtrato, aprano candidamente la bocca a dire “che schifo”.

Ché lo schifo, in questo enorme contenitore che si chiama vita, è ben altro: non vale la pena – per loro, prima che per noi adulti – provare a spiegarglielo?

Giulia Balzano – 23.05.2013

(Videolina – Tg ore 14.00 – 24 maggio 2013)

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